iFerr 106 versione WEB

63 Obblighi per i distributori delle polizze (ad esempio le banche) 1) Rispettare l’adeguatezza fra prodotto venduto e profilo del cliente: vi è l’obbligo di prestazione del servizio di consulenza per i prodotti assicurativi di investimento complessi ed il divieto esplicito di distribuzione di prodotti inadeguati anche in caso di iniziativa del cliente. L’attuale assetto normativo, dunque, obbliga gli intermediari sia del canale assicurativo che di quello finanziario e bancario a distribuire le polizze finanziarie nell’ambito di un servizio consulenziale anche nell’ipotesi in cui sia il cliente a richiederne la sottoscrizione. Pertanto, la violazione del divieto di distribuzione di polizze inadeguate configura una fattispecie di responsabilità contrattuale. Inoltre, ai fini della valutazione di adeguatezza, è espressamente previsto che si dovrà tener conto dell’età, della professione e dell’esperienza finanziaria del cliente. 2) Corretta informativa sulle caratteristiche della polizza: la nuova regolamentazione pone degli oneri più stringenti a carico dei distributori delle polizze, che adesso dovranno specificare i rischi connessi al tipo di prodotto d’investimento assicurativo, i rischi derivanti dalla possibile insolvenza dell’ente che ha emesso i titoli sottostanti alla polizza nei quali il cliente investe, la volatilità del prezzo dei sottostanti che può creare perdite, eventuali rischi di illiquidità dei titoli sottostanti, gli ostacoli o le limitazioni al diritto di riduzione e di riscatto della polizza e al disinvestimento del titolo. 3) Corretta informativa sui costi, che deve esser fornita dal distributore con trasparenza sia nella fase precontrattuale e sia nel corso della gestione: L’EIOPA (Autorità Europea delle Assicurazioni e delle Pensioni Aziendali e Professionali) ha deciso di accendere un faro su alcuni prodotti assicurativi di investimento, per valutare se le unit e le index linked hanno un’effettiva redditività per il cliente o se i costi e le commissioni le rendono sostanzialmente inutili come prodotti di investimento per i clienti retail. L’Italia è risultato il quinto paese in cui costano di più con un impatto complessivo dei costi che arriva in media al 3,2%. Questo, indipendentemente dai rischi. È chiaro che l’eccessiva onerosità incide sul rendimento netto e quindi sul valore reale di queste polizze. Ad esempio, se una polizza ha costi di gestione annuali del 3% allora il prodotto finanziario sottostante deve guadagnare almeno il 4% annuo, affinché si porti a casa un vantaggio dell’1%. Precisiamo per completezza che queste polizze offrono altri vantaggi, diversi dal rendimento, perché sono interessanti per chi ha necessità di effettuare una pianificazione successoria evitando di pagare le tasse (oltre il milione di euro) o chi vuol lasciare soldi al di fuori dell’asse ereditario o chi ne apprezza l’impignorabilità e insequestrabilità. A cosa si deve stare attenti 1) Reale tipo di polizza in cui sta investendo. Non bisogna farsi fuorviare dai nomi e dalle diciture, esempio eclatante è quello delle polizze a capitale protetto ossia polizze che pur avendo come obiettivo la protezione del risparmio e con tecniche di investimento prudenti, comunque non danno nessuna garanzia che il capitale investito non subisca perdite. 2) Struttura dei costi e delle commissioni, sia upfront che recurring. Questi possono variare in media dal 1,5% al 4% del valore complessivo dell’investimento. Usare con attenzione il KID ( Key Information Document), di lunghezza massima di tre fogli di formato A4, nel quale il potenziale investitore troverà le informazioni chiave relative al prodotto che intende acquistare redatte in modo semplice e chiaro. 3) Meccanismi di restituzione delle somme versate. Ad esempio eventuali clausole di riscatto non automatico che prevedono oneri sull’assicurato nel richiedere la prestazione pur dovuta, oppure fissano presupposti per far sorgere il diritto al riscatto, come avviene per il pagamento di un certo numero minimo di annualità. Antonio Pinto

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