iFerr-128 - Anno 2025

120 iFerr ottobre 2025 www.iferr.com Nel precedente articolo (iFerr 127) abbiamo visto cosa accade quando un conflitto esplode in azienda, e come spesso, i tentativi di soluzione, rischino di peggiorare la situazione invece che migliorarla. Ciò avviene quando il problema è relazionale, e cambiare le regole non basta: bisogna cambiare il modo in cui ci si parla. Ed è qui che il counseling fa la differenza. Quando la tensione è alta e la comunicazione sembra muro contro muro, il counseling diventa lo spazio in cui recuperare lucidità; si tratta di uno degli strumenti più potenti, ma anche più sottovalutati, per affrontare e trasformare i conflitti sul lavoro. Non serve “fare pace” a tutti i costi, ma serve offrire un sostegno che aiuti le persone a rileggere la propria posizione, a uscire dalla spirale delle reazioni automatiche e ad allargare lo sguardo. L’intervento non riguarda solo chi è direttamente coinvolto nello scontro poiché spesso è l’intero contesto ad avere bisogno di essere ascoltato; ciò che esplode tra due persone, quasi sempre, racconta qualcosa che appartiene a tutta l’azienda. NON SI PARTE DAL PROBLEMA. SI PARTE DA SÉ Quando la tensione esplode, la lucidità è la prima cosa che viene meno, e invece di cercare soluzioni, scivoliamo nell’attacco e nello scontro. Il counseling lavora proprio qui, introducendo un cambio di prospettiva: invece di continuare a puntare il dito sull’altro, si invita a partire da sé, perché finché restiamo convinti che la causa del conflitto sia solo fuori da noi, restiamo intrappolati nello scontro; fermarsi e osservare cosa accade dentro di noi significa sostanzialmente chiedersi: “cosa mi sta davvero dando fastidio? Perché questa situazione mi tocca così tanto? Quale parte ho avuto io in questa dinamica?”. Riconoscere la propria parte non è colpevolizzarsi, ma iPartner > rimpossessarsi della guida delle proprie reazioni; è una presa di coscienza rapida che già da sola cambia la qualità delle conversazioni, e apre lo spazio a un dialogo più autentico. SCOPRIRE IL BISOGNO NASCOSTO SOTTO LA RABBIA La rabbia, quasi sempre, è solo la punta dell’iceberg e sotto, c’è un bisogno che non è stato riconosciuto; chi si sente escluso, in realtà vuole contare; chi viene criticato in pubblico non cerca vendetta, reclama rispetto. Chi subisce decisioni imposte senza spiegazioni ha bisogno di chiarezza; chi si percepisce invisibile, in fondo, desidera riconoscimento. Il problema è che questi bisogni raramente vengono dichiarati con semplicità e chiarezza; escono in modo distorto con sarcasmo, nervosismo, silenzi pesanti, atteggiamenti di passività o persino piccoli sabotaggi. È un meccanismo comune di esprimere ciò che ci serve, schermandosi dietro la rabbia. Il counseling lavora proprio qui, aiutando a dare un nome al bisogno nascosto. Così “il mio capo è un accentratore” diventa “ho bisogno di maggiore autonomia per lavorare bene”; allo stesso modo:”qui nessuno mi considera” può trasformarsi in “vorrei che il mio contributo fosse riconosciuto”; “mi controllano in continuazione” diventa “ho bisogno di fiducia per esprimere al meglio le mie competenze”. È un cambio di linguaggio che abbassa subito la tensione: meno tensione nel linguaggio, e più possibilità di confronto costruttivo. FERMARE LA REAZIONE AUTOMATICA E SCEGLIERE LA RISPOSTA UTIL Uno degli “ QUANDO LA TENSIONE È ALTA E LA COMUNICAZIONE SEMBRA MURO CONTRO MURO, IL COUNSELING DIVENTA LO SPAZIO IN CUI RECUPERARE LUCIDITÀ; SI TRATTA DI UNO DEGLI STRUMENTI PIÙ POTENTI, MA ANCHE PIÙ SOTTOVALUTATI, PER AFFRONTARE E TRASFORMARE I CONFLITTI SUL LAVORO”

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